a cura della Dott.ssa Lucia Di Nardo
Il termine BURNOUT mette in evidenza alcuni tratti salienti della sindrome: burnout infatti rimanda a ciò che è bruciato, logorato, fuso, scoppiato.
Non è un caso che una delle metafore a cui spesso fanno riferimento gli stessi lavoratori colpiti dalla sindrome sia quella di un fuoco che, un tempo acceso e bruciante di energia, si è ora spento, lasciando il posto a delle fredde ceneri.
Il burnout è dunque un fenomeno caratterizzato dal completo esaurimento emotivo e psicofisico del lavoratore, accompagnato dal distacco, o da una vera e propria avversione verso il lavoro, i colleghi, i superiori, i clienti o gli utenti, ecc.
Quali sono i segnali che permettono di riconoscere il burnout?
Parlando di burnout, alcuni anni fa si faceva riferimento esclusivamente ad alcune categorie di lavoratori: i medici, gli infermieri, gli insegnanti e, più in generale, gli operatori sociali. Infatti la forma più classica della sindrome si manifesta nelle professioni cosiddette “di aiuto”, quelle che si svolgono all’interno dei contesti sociosanitari e scolastici, in cui l’obiettivo dell’attività lavorativa è la cura, l’aiuto, l’educazione o la riabilitazione.
La studiosa che più si è occupata di burnout è Christina Maslach; a lei dobbiamo la sistematizzazione teorica più nota della sintomatologia del fenomeno.
Questo si caratterizza per tre segni distintivi, contemporaneamente presenti:
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Esaurimento emotivo: la persona avverte di aver “bruciato” tutte le sue energie; si sente stanca, svuotata, senza più risorse fisiche ed emozionali per affrontare l’attività lavorativa.
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Depersonalizzazione: la persona manifesta un atteggiamento freddo e cinico nelle relazioni con gli altri, che sono sempre più caratterizzate da indifferenza e annullamento delle emozioni. Al concetto di depersonalizzazione si è venuto progressivamente a sostituire quello di disaffezione. La differenza è notevole: mentre con il concetto di depersonalizzazione si poneva l’accento su una risposta disfunzionale agli utenti, con il concetto di disaffezione si pone l’accento su una risposta disfunzionale al lavoro in sé e per sé.
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Riduzione dell’efficacia professionale: la persona avverte un crescente senso di inadeguatezza, una diminuzione, o perdita, della propria competenza professionale ed una mancanza di fiducia nelle proprie possibilità.
Vi possono essere numerosi altri sintomi, come umore depresso, ansia, instabilità emotiva, senso di colpa, bassa tolleranza alle frustrazioni, disturbi psicosomatici ed anche aumento dei comportamenti rischiosi.
Secondo i primi studi i soggetti più esposti al burnout sarebbero quelli più empatici, idealisti e tendenti ad identificarsi con gli altri, ma anche quelli più introversi, ansiosi, ossessivi e altamente entusiasti. Spesso sono proprio questi tratti di personalità ad orientare la scelta di intraprendere una professione di aiuto, con una passione ed un entusiasmo inizialmente notevoli, che poi però non trovano sufficiente riscontro nella realtà lavorativa.
Non tutte le persone sono ugualmente esposte al burnout; può capitare che su due colleghi che lavorano nello stesso reparto per uno stesso periodo di tempo affrontando quotidianamente le medesime difficoltà lavorative, uno sia colpito da burnout e l’altro no.
In casi del genere spesso è l’efficacia personale, ossia la convinzione della persona di riuscire a gestire con successo le situazioni, anche quelle complesse, a rappresentare il fattore determinante. Il lavoratore con un’elevata efficacia personale vedrà le difficoltà lavorative come delle sfide davanti alle quali insistere e aumentare l’impegno ed i fallimenti come occasioni di apprendimento e stimoli a migliorare. Il lavoratore con bassa efficacia personale sarà invece portato a vedere le difficoltà come ostacoli insormontabili e tenderà ad arrendersi, a vedersi già sconfitto in partenza, ed anche davanti alle situazioni incerte sarà portato a mettere meno impegno e ad avere sempre meno fiducia in sé.
In breve: un basso livello di efficacia personale è un fattore predisponente alla manifestazione della sindrome del burnout, laddove un alto livello costituisce un fattore particolarmente protettivo.
Le conseguenze del burnout non sono solo individuali (depressione, disturbi psicosomatici, abuso di sostanze, insoddisfazione, ecc.), ma anche organizzative: assenteismo, calo delle performance e della qualità del servizio, abbandono. Appare dunque importante e quanto mai attuale che le organizzazioni si preoccupino di tutelare le proprie risorse umane, sostenendole nel fronteggiare lo stress, che può ripercuotersi nella qualità della vita personale, ma anche nella prestazione lavorativa, nel rapporto con i colleghi, i clienti e gli utenti. Diventa allora fondamentale pianificare e realizzare strategie di prevenzione del disagio lavorativo, intervenendo su ciò che può essere fonte di benessere e di coinvolgimento.